Mercoledì 24 ottobre i dottorandi del XXII ciclo hanno presentato le loro proposte di ricerca, che riportiamo.
Carlo Bassetti
Mapping
Sistemi grafici di navigazione
“… the future of maps is to vanish into all things and reappear in everything”
William Owen
Obiettivo della ricerca è indagare l’attuale evoluzione delle mappe – come sistemi di rappresentazione e come modello concettuale – e le implicazioni in relazione agli sviluppi di information, interface e interaction design, e del web come luogo di navigazione virtuale e in quanto piattaforma per la costruzione di reti.
La precisazione dell’ambito di ricerca procederà per successive approssimazioni, indagando le funzioni e gli ambiti del mapping. In una prima fase saranno esplorate alcune considerazioni preliminari: a. la mappa come rappresentazione figurata di dimensioni, attributi, relazioni tra elementi nello spazio fisico o logico; b. la potenziale pervasività del mapping (qualsiasi cosa può essere mappata e quasi tutto lo è: luoghi, filosofie, apparati e basi di dati); c. la mappatura come strumento di chiarificazione e costruzione di relazioni: con la verifica dei dati e dei linguaggi grafici ogni cosa viene posizionata, nominata, messa in relazione.
La ricognizione e lo studio della letteratura già presente a livello internazionale – da Else/Where Mapping: New Cartographies of Networks And Territories di Janet Abrams e Peter Hall fino a Lifestyle di Bruce Mau, e alle più recenti pubblicazioni – permetterà di definire una griglia di riferimento problematica, composta cioè non solo da certezze ma anche da interrogativi, dubbi e ipotesi funzionali in vista degli obiettivi indicati. In questo modo saranno messi in luce finalità, criteri, modalità, limiti (o loro assenza), inganni ed efficacia delle mappe: perché mappare? perché usare le mappe? come funzionano, attraverso quali convenzioni? quanto può essere esteso il concetto di mappa? quando e dove sono presenti e intervengono i sistemi di mappatura?
L’analisi del fenomeno si orienterà quindi lungo tre direttrici funzionali: a. sistemi grafici / cartografici (mapping vero e proprio); b. sistemi di orientamento nello spazio a scala umana (wayfinding); c. sistemi di orientamento nell’interattività (interface). In particolare, rispetto a questi ambiti, la ricerca si concentrerà sui temi dell’integrazione di flussi di dati geografici e georeferenziati in servizi integrati web, e su information, interface e interaction design, tentando di affrontare quello che si annuncia come apparente paradosso: le reti sono infatti intrinsecamente resistenti a una visione semplicemente sinottica.
Simona Casarotto
Participatory design e web 2.0
L’utente come co-designer
Il nuovo modello sociale diffusosi grazie all’evoluzione del World Wide Web in Web 2.0 permette una valutazione aggiornata delle teorie che promuovono il coinvolgimento attivo dell’utente finale nel processo di progettazione, il cosiddetto “collective resource approach”, le cui prime applicazioni, da cui successivamente si è sviluppato il corpus teorico del Participatory Design, sono rintracciabili all’interno dei progetti di ricerca di studiosi scandinavi già nei primi anni Settanta. Più recentemente, studi a riguardo hanno coinvolto principalmente e parallelamente discipline sociologiche ed economiche.
Muovendo da tali riferimenti, lo studio ipotizza una relazione fra queste ricerche e la nuova connotazione che la relazione utente-progettista assume se collocata nell’ambito della condivisione spontanea e immediata che si crea con il Web 2.0 attraverso alcuni macrosistemi: i wiki, i blog, i social network e i podcast.
Nel momento in cui l’utente da semplice fruitore e consumatore del prodotto assume il ruolo di “prosumer” (neologismo che fonda i termini inglesi producer e consumer), come preconizzato da Alvin Toffler in “The third wave” (1980), unificando così due ruoli che, dalla Rivoluzione Industriale in poi, erano stati separati, si amplia la sua partecipazione attiva alle discussioni, la sua influenza sulla percezione e il successo dei brand, il suo contributo attivo alla progettazione, non solo in termini di personalizzazione, ma anche in qualità di vero e proprio co-progettista.
Questa nuova prospettiva, che ha conosciuto negli ultimi mesi una accelerazione e diffusione sostanziale, pone una serie di questioni circa il ruolo del designer, così come è stato tradizionalmente inteso. Questioni che si collocano su diversi livelli: dalla valutazione della reale fattibilità di questa interazione alla definizione degli strumenti necessari alla sua attuazione.
In stretta connessione con l’accesso estensivo a sempre più veloci connessioni internet, la cosiddetta “personalizzazione di massa” si è effettivamente sostituita al fenomeno di “produzione di massa” solo di recente. Non si tratta semplicemente di un concetto di marketing introdotto per incrementare le vendite online o di una politica di aderenza della produzione aziendale ai bisogni degli utenti; questo fenomeno vede l’utente prendere parte al processo di progettazione dei prodotti fin dalle sue fasi iniziali e, conseguentemente, ridefinisce alcuni aspetti della professione del designer, il quale si trova ad avere, come compito aggiuntivo, quello di pianificare sistemi che permettano la co-progettazione e l’intervento degli utenti.
Lo studio ipotizza che l’evoluzione delle teorie alla base del Participatory Design, inserite nel contesto del Web 2.0, vada nella direzione dell’affermazione delle competenze e qualità registiche dei designer non solo nella gestione della multidisciplinarità, ma anche nella pianificazione di nuovi modelli organizzativi, meno gerarchici e più partecipativi.
Giovanni Crosera
La bicicletta a pedalata assistita
Analisi nella sua evoluzione sociotecnologica
Il progetto di ricerca che verrà sviluppato nei prossimi due anni di PHD in Product and Communication Design è l’analisi sociotecnologica della bicicletta a pedalata assistita (Electrcally power assisted cycle).
La bicicletta elettrica è un interessante oggetto di ricerca in quanto si inserisce nel dibattito energetico, ha una rilevanza ambientale, ha un livello di complessità che permette di valutare le nuove tecnologie ed è ancora in evoluzione.
Il background della ricerca è costituito dai temi: energia pulita, ed in particolare, dell’energia elettrica generata in loco (pannelli fotovoltaici, fuel cell…); impatto ambientale, con particolare attenzione a inquinamento da polveri sottili di origine veicolare; le nuove tecnologie, identificate nelle nanotecnologie, specialmente nelle batterie, e Personal Fabricator; modello di analisi sociotecnico SCOT.
L’analisi socio-tecnologica dell’EPAC sarà sviluppata con il modello SCOT (Social Contruction Of Technology). All’interno verrano individuati i concetti tipici proposti dal modello: gruppi sociali pertinenti (utilizzatori, produttori, progettisti dell’EPAC…), problemi, soluzioni (autonomia, tempo di ricarica, estetica…), flessibilità interpretativa (la giustificazione di alcuni modelli di successo e insuccesso secondo gli utilizzatori…), chiusura e stabilizzazione (la bicicletta elettrica è un oggetto aperto, si continuano a proporre nuove soluzioni globali); e i quadri tecnologici del caso.
La parte finale del progetto di ricerca prevede lo studio della produzione locale di prodotti, oggetto delle ricerche in atto sui Personal Fabricator. Nel caso analizzato di un’EPAC.
Maddalena Dalla Mura
Design nei musei
Ipotesi di museologia per il design
L’area che ci si propone di affrontare è quella della museologia del design – riferendosi anche al neonato gruppo di Museologia del design all’interno del nostro Dottorato –, con un tema che si riassume per ora nel titolo Design nei musei. Ipotesi di museologia per il design.
Premessa per la ricerca è la valutazione che la museologia del design si offra come campo di indagine ancora aperto e problematico, e che proprio come tale esso si ponga quale tema di confronto e dibattito a livello internazionale, quindi non solo nelle più o meno recenti vicende italiane – le quali pure potranno avere, comunque, un più puntuale rilievo. Considerazione altresì fondamentale è che il museo, in quanto luogo di produzione culturale che ricopre sempre più funzioni di comunicazione e anche di didattica, possa rappresentare un fattore di supporto per il sostegno e la corretta diffusione della cultura del progetto.
Attraverso l’esplorazione critica della “letteratura” per entrambi gli ambiti che si vuole mettere in relazione – design e museologia –, recuperando di ciascuno complessità e articolazioni, la prima fase del lavoro mira a precisare una griglia concettuale di riferimento, in cui si collocano la possibilità e le potenzialità stesse della ricerca. In particolare, da un lato l’indagine degli studi museologici (ma anche museografici) è intesa a evitare che le ipotesi e le proposte per il design facciano astrazione da una lunga tradizione di studi e realizzazioni museali/espositive, oltre che dal vivido dibattito tuttora in corso. (Per questo parleremo inizialmente di museologia “per il” design.) Dall’altro lato, si affronterà un tema che proprio in materia di musei costituisce ancora un nodo residuale da sciogliere, quello del rapporto fra design e arte ovvero della riduzione iconico-estetica; e si accoglieranno invece i suggerimenti per una più attenta lettura del disegno industriale, chiamando in causa, per esempio, la cultura materiale e il sistema sociotecnico.
Su queste basi – ridimensionato il riferimento al museo d’arte come unico metro di misura e non curandosi di inseguire etichette e denominazioni (museo “di design”) – si procederà nel definire il campo di indagine (il “design nei musei”), composto da casi concreti e realtà valutate significative per rispondere a una serie di quesiti che la musealizzazione – quindi la memoria e il racconto – del design – non solo come prodotto finito – avanza. Così, potranno essere oggetto di analisi musei di storia della scienza e della tecnica (o della tecnologia), i musei di arti e mestieri, del patrimonio industriale, della cultura materiale, di storia contadina, di storia industriale, d’impresa, ma pure di arte ecc., e saranno esplorate anche altre forme di conservazione ed esposizione come archivi, centri, gallerie e mostre temporanee.
Raccogliendo in tal modo risposte e suggestioni non solo pratiche ma teorico-concettuali – nella consapevolezza che un museo è in primis un progetto – e riflettendo sul carattere multidisciplinare e trasversale del design, si cercherà di valutare e analizzare il senso di un quesito che nutre e si muove attraverso gli altri: esiste o si può dare un discorso museologico specifico per il design, del design?
Davide Fornari
Il volto come interfaccia
Negli ultimi anni la progettazione di personaggi – apparentemente un innocuo passatempo per designer – è divenuto un fenomeno in costante aumento che ha trovato applicazione in vari campi: dai videogiochi ai cartoni animati, dall’illustrazione alla pubblicità. Di fatto il character design tocca uno dei meccanismi psicologici fondamentali, quello della personificazione, cioè la capacità di proiettare “senso” e “animazione” su di un’immagine bidimensionale o un’interfaccia tridimensionale, statica o in movimento.
L’estetizzazione delle merci ha amplificato il fenomeno e ha permesso, insieme allo sviluppo tecnologico, lo sviluppo di prodotti (robotica), servizi (Second Life) e ambienti (realtà virtuale immersiva) in cui l’interfaccia degli attori coinvolti è un aspetto strategico della fruizione.
La storia degli automi e della robotica umanoide, evidenzia l’importanza dell’interfaccia nell’interazione uomo-macchina in presenza di macchine sociali: macchine e oggetti, cioè, progettati per l’interazione con gli esseri umani – per esempio destinate all’accudimento – e che suscitano quindi sentimenti.
Data l’indifferenza nelle dinamiche di riconoscimento facciale tra volti umani reali e interfacce progettate, l’approfondimento del tema del volto come interfaccia di progetto fa emergere i problemi dell’espressività dei tratti umani, della loro salienza nella comunicazione visiva, della presenza nella realtà virtuale. Da una parte, l’attività dei neuroni specchio è stimolata nell’interazione con macchine umanoidi; dall’altra la robotica androide ha evidenziato come alcune interfacce ricadano nella cosiddetta Uncanny Valley, cioè provochino un’esperienza del perturbante.
L’interazione uomo-macchina sarà sempre più pervasiva e le interfacce umanoidi avranno via via un influsso sempre maggiore nella nostra vita sia per lo sviluppo della robotica domestica (Paro, Asimo) sia per le loro applicazioni nell’information design (Ikea).
Gli studi della psicologia sperimentale hanno messo in luce l’alta specializzazione del cervello nel riconoscimento dei volti anche di fronte a immagini semplificate ed astratte. Sull’astrazione dei tratti del volto umano si basa l’efficacia e il successo o meno di prodotti e servizi, anche di pubblica utilità.